Ad Amsterdam si apprestano a chiudere i coffee shop in modo da impedire ai turisti l’acquisto della cannabis; in Italia, in compenso, spuntano come funghi e senza alcuna vera regolamentazione per chi ci entra le sale dedicate alle slot machine, che sono l’eroina del gioco d’azzardo. Non si tratta di un paragone esagerato, ma dell’unica similitudine che può spiegare davvero di che cosa parliamo, quando parliamo di gioco e della liberalizzazione del suo enorme mercato. La slot machine o “macchina a rulli”, come vuole il burocratese dell’Aams, è il gioco più passivo che esista (fa tutto lei, non c’è nemmeno da grattare, ma al massimo da grattarsi), ed è anche il più potenzialmente devastante. L’aria rassicurante da videogioco e i software effettivamente sofisticati, da playstation, non devono trarre in inganno. Dietro quelle ambientazioni di ruolo e quelle schermate piene di personaggi in movimento c’è uno schiacciasassi in grado di rovinare chiunque con tempi da guinness.Le cosiddette VLT di nuova generazione, identiche a quelle che si trovano nelle sale dei giochi americani dei casinò di mezzo mondo, non hanno più nulla della pittoresca slot di una volta; né il braccio meccanico da spingere verso il basso (da cui il soprannome di “bandito con un braccio solo”), né la fessura dove inserire la monetina, né la vasca di acciaio cromato per raccogliere le vincite (avevi appena abbandonato una slot dopo averci rimesso la camicia che subito una vecchietta sbucata dal nulla si sedeva al posto tuo e con la prima puntata incassava una pioggia di monetine sonanti: un classico del vecchio casinò). Ora tutto è silenzioso, discreto, elettronico, come il 90 per cento del tristissimo acquario digitale nel quale viviamo. Si infila una banconota nel lettore ottico, si schiaccia un pulsante e i rulli cominciano a girare. Si può giocare fino a cinque euro alla volta, il che significa che 50 euro possono andarsene in 50 secondi, 500 euro in meno di dieci minuti e dunque, anche senza i tagli di Monti, una media pensione può dileguarsi in un quarto d’ora. È vero che per legge la slot machine deve restituire l’85 per cento delle giocate (sempre ammesso che il software non sia manomesso); ma si tratta di un calcolo astratto, basato sui milioni e milioni di colpi che si generano nell’arco di settimane, e oltretutto non tiene conto dei 50 euro messi ma dei colpi da essi movimentati; dunque il ragionamento del giocatore che continua a inserire banconote pensando “prima o poi deve pagare, adesso mi rifaccio per forza ” è il modo più sicuro per scavarsi la fossa. Il caso non ha memoria, ma il banco sa fare benissimo i suoi conti. Questo basterebbe a spiegare perché le slot sono la gallina dalle uova d’oro per i casinò di tutto il mondo, nonché l’eroina per i giocatori più sprovveduti, perché si legge “slot machine” ma si dovrebbe pronunciare “slot rovine”. Eppure, tra i giochi d’azzardo non on line, solo loro sono state liberalizzate e anzi, godono un regime di assoluto privilegio. La loro proliferazione nei bar, nelle sale bingo e nei locali appositi è possibile solo grazie al divieto che continua a valere per le vere case da gioco, quelle che esistono in tutto il mondo occidentale, quelle dove il giocatore è identificato e garantito, quelle dove si praticano giochi in cui il calcolo delle probabilità è molto meno sfavorevole a chi punta (dalla roulette al black-jack).