Ho chiesto a un amico “Cosa è per te fine e cosa è grezzo?”.
“Tu sei fine, io sono grezzo”. La speculazione che vorrei tentare di affrontare potrebbe chiudersi qui, con la conclusione che i nostri convincimenti intorno all’idea della raffinatezza e della grettitudine è soprattutto molto relativa e frutto di percezione personale: il suo pensiero non lo condivido infatti. Ma dov’è la verità?
Il suggerimento per il #cosechesidicono di questa settimana nasce dall’aver catturato una breve conversazione in merito alla piacevolezza di un pavimento, un bel pavimento, valutato invece con senso estetico molto drastico: “E’ grezzo, non è fine!”. Ho guardato a lungo quel povero pavimento così miseramente bistrattato e ammetto ancora adesso non mi capacito del giudizio.
Il nostro senso estetico si modifica velocemente e quello che oggi ci appare poco gradevole anni o forse secoli addietro poteva al contrario risultare apprezzato e persino ricercato. Pensate alla moda, ai piumaggi che decoravano gli abiti e in particolare i cappelli tra il ‘700 e l’800, oggi rappresenterebbero delle bizzarrie improponibili, neanche Vivienne Westwood oserebbe tanto, non per mancanza di coraggio ma perché da provocatrice quale è ci acconcia direttamente la capigliatura.
Per sintesi potremmo affermare che l’essere fini si contrappone
alla ostentazione, allo sfoggio, all’eccesso, all’esibizione. L’immagine simbolo maschile del grezzo è…camicia aperta e catena d’oro al collo. Un giudizio che probabilmente nasce dall’associazione con l’immagine di certi malavitosi: negli anni ’60 Johnny Holiday ne fece al contrario il suo look vincente da rock star. Vale sia per gli uomini che per le donne la grossolanità nel parlare abbinata a una solo apparente eleganza nel vestire. I civitanovesi conoscono sicuramente anche solo per trasmissione orale la famosa frase della raffinatissima signora dal macellaio:”Vorrei della carne tenera, perché sa, mio marito non la strongeca!”.
Le riviste di moda e di gossip si divertono frequentemente a stilare graduatorie tra i look meno eleganti dei cosiddetti vip: gli italiani Gigi D’Alessio e Anna Tatangelo si guadagnano spesso le ultime poco ambite posizioni per il loro abbigliamento che a detta degli esperti può serenamente definirsi trash.
Eppure nell’arte l’eccentricità fa aumentare il gradimento, lo hanno dichiarato, a seguito di uno studio, i ricercatori delle Università di Limerick e Southampton. Tutto sembra che nasca da un radicato pregiudizio sullo stretto legame tra eccentricità e creatività.
Forse si sono appoggiati proprio a questo studio alcuni giovani artisti che dell’eccesso hanno fatto il loro stile arrivando a chiamare la loro “ditta” Cattivo Gusto. Abiti la cui collezione è stata presentata in un porcile: cardigan con troppi bottoni, scomodi e fastidiosi a detta di chi li ha indossati. Ma Cattivo Gusto è anche una filosofia che prova a “rompere stereotipi e false verità socialmente rassicuranti”.
Insomma ci invita a cambiare punto di vista e a non ingabbiarci dentro troppo strette definizioni.