Dal 21 giugno al 29 settembre, negli spazi del CafèMirò, in via Marche, 18, di Porto S.Giorgio, una testimonianza di irrilevante importanza pittorica per quanto riguarda l’artista marchigiano Silvio Craia. A seguire una dotta testimoniansa di Daniele Taddei, critico e collezionista maceratese.
Ancora una geniale intuizione di Silvio Craia, artista mai domo, sempre ad esplorare nuove immagini e sentimenti che accompagnano la quotidianità dell’uomo.
Con il trascorrere degli anni, gli ottanta oramai sono ben alle spalle, la sua ricerca non sente questo peso anagrafico, anzi, la gestualità del segno diventa più matura comunicando con estrema leggerezza tutti i suoi stati d’animo, sempre vivi e pronti per essere esternati al pubblico, pubblico sempre più numeroso e sempre più attento alla sua creatività esploratrice.
Quest’ultima fatica, anche se fatica non è un termine che si addice a Silvio Craia, ci conduce virtualmente alla genesi del suo segno, segno che ha sempre voluto significare l’essenza, la riduzione, la molecola del paesaggio marchigiano a lui caro come fedele ispiratore dei suoi lavori.
Non è da tutti tracciare linee e curve, senza sosta alcuna, con mano ferma e decisa quanto sapiente, e regalarci visioni delle nostre colline, delle nostre montagne, che ben si prestano per la loro dolcezza naturale ad essere sublimemente fermate e catturate come in uno scatto fotografico.
I racconti quotidiani, una sorta di diario, mi riportano ai graffiti degli uomini primitivi che ancora oggi possiamo ammirare per la loro freschezza esecutiva, nelle grotte di Lascaux in Francia e quelle di Altamira in Spagna.
E’ pur vero che nella maggior parte dei casi sono immagini figurative legate al mondo animale e vegetale, ma è altrettanto vero che in molti episodi di quelle scene la traccia, il segno, il graffio sono di una leggerezza e spontaneità unica, dove il movimento, la velocità, la simultaneità si rincorrono con rigore ed eleganza.
Ebbene Silvio Craia nei suoi dipinti o disegni che siano, crea una sintesi delle cronache di ogni giorno, sono aspetti umani, sociali, naturali, ancorati il più delle volte alla fragilità, alla vulnerabilità, alle indifese dell’uomo.
Non v’è distinzione a mio modo di vedere tra quei segni primitivi e quelli attuali che Silvio ci regala ogni qual volta venga sollecitato dalla sua interiorità, sicuramente noi tutti siamo chiamati ad uno sforzo maggiore perché dovremmo leggere quelle linee, quelle curve, quelle geometrie, quegli assemblaggi, quei collage, con rispetto e grande senso della meditazione e dell’ascolto.
L’arte di Silvio come qualsiasi sua manifestazione espressiva, hanno degli ingredienti sempre ben dosati, senza alterazioni o sopraffazioni, la loro indagine è il più delle volte impegnativa, ma facilitati dalla sua presenza, tutto diventa più chiaro, e l’opera sotto i nostri occhi acquista pensiero, significato, insegnamento.
Contestualizzare o collocare il lavoro sperimentale ed innovativo di Silvio Craia non è semplice, certamente di Artisti riconosciuti in campo nazionale e internazionale per la peculiarità del loro tratto sono diversi, ma credo che due in particolare hanno aspetti specifici a cui si potrebbe rifare il suo operato.
Non amo mai scomodare nelle mie osservazioni (non note critiche) i grandi numi tutelari dell’Arte Moderna, ma questa volta non ne posso fare a meno, mi riferisco a Franz Kline per il suo segno nero, primitivo ed imperioso e a Robert Rauschemberg per gli assemblaggi di materiali recuperati e gli accostamenti cromatici magistralmente riportati a nuova bellezza.
Prima di mettermi a scrivere questa breve testimonianza ho analizzato più volte le immagini delle opere di questi due grandi protagonisti dell’Espressionismo Astratto Americano e debbo affermare con altrettanta lucidità che vi sono chiavi di lettura comuni a tutti e tre.
Conosco bene i lavori su carta di Silvio Craia degli anni ’60, tracce di nero su piccoli fogli, che sembrano volare nello spazio come corpi celesti, minuti segni in divenire che raccontano di un intero universo, figurazioni che trasmettono serenità, gioia, consapevolezza di appartenere ad una rinnovata spiritualità, dove l’immanente si eleva verso il trascendente alla ricerca di quella luce che dovrà illuminare sempre di più il nostro cammino.
Silvio continua a “spassarti”, come asserisci ogni qualvolta ti si chiede come va … noi ti saremo sempre grati. (Daniele Taddei).