La crisi europea è giunta ormai a un punto di non ritorno. Le élites del vecchio continente sono rimaste senza bussola e arrancano alla cieca, perse dentro uno di quei momenti cruciali, quando la storia pone di fronte ad alternative secche e purtroppo senza appello. O si compie uno straordinario balzo in avanti, e si assume l’integrazione politica come un grande obiettivo realistico, oppure si lascia che le asimmetrie di potenza nascoste dietro la moneta unica condannino un Paese debole dopo l’altro a marcire. Il suicidio dell’Europa è l’esito nefasto delle passate illusioni riposte sulla moneta quale primario e irresistibile collante dei Paesi diversi, cui si sarebbe ben presto aggiunta una automatica coesione politica e culturale. La logica per cui alla integrazione imposta dalle esigenze del ruvido denaro sarebbe prima o poi seguito anche il collante etico non è stata fortunata nei suoi risvolti effettuali. La moneta non soltanto non ha evocato il cuore ma ha assegnato ad alcuni Paesi degli enormi vantaggi competitivi e ad altri ha imposto dei carichi insopportabili.
La moneta ha costruito il volano a delle ineguaglianze clamorose per cui il finanziamento di Paesi come la Grecia, la Spagna, l’Italia costa almeno 5 punti in più della fortunata Germania che si chiude in una fortezza inespugnabile a lucrare il suo invidiabile plusvalore. Dietro i ricatti degli speculatori, che stringono al collo i Paesi deboli dell’Europa evocando gli incubi del fallimento, c’è proprio l’intollerabile differenza di potere (politico ed economico) che si riscontra tra i diversi Paesi che ricorrono alla stessa moneta. Per questo è vano cercare qualche magica alchimia di natura tecnica ed economica ad una crisi che è anzitutto politica e ha a che fare con delle classiche questioni di sovranità.
L’ostruzionismo tedesco contro ogni risposta politica alla crisi è del tutto miope perché cerca solo di lucrare dei vantaggi di posizione ravvicinati e giocarli a favore nella contesa elettorale imminente. È raro però nella storia rintracciare una così vistosa meschinità nella condotta di una potenza regionale che è economicamente egemone ma politicamente strabica. Lo scarto competitivo favorevole non è mai eterno (a chi mai venderà le sue potenti macchine ad elevata tecnologia se l’Europa somiglierà sempre più ad uno sterminato deserto?). E anche il calcolo politico di censurare con un forte tono etico il debito altrui, per tenere così alla larga il contagio populista alle porte, è del tutto illusorio: non si può mai scacciare il populismo da un Paese solo, mentre ovunque la crisi diffonde disperazione e innalza i campioni dell’antipolitica come il solo dio vendicatore.
Neanche la potente (per ora) Germania potrà alla lunga sopravvivere in un’Europa ridotta a cumuli di macerie e con una democrazia sepolta in un sistema dopo l’altro per l’impossibilità di resistere alla follia della speculazione. È una sciocchezza pretendere prove di maturità e di rigore ai Paesi caduti in trappola perché nessun governo ha in mano le chiavi per rispondere con efficacia alla sfida. Ogni Paese è vulnerabile e la sola risposta alla crisi del debito è nell’Europa che non dimentichi (è triste che tocchi ad Obama rammentarlo) la sua scoperta fondamentale, la grande politica.
Nella condizione precaria in cui versa l’Europa, quella di essere un immenso territorio oltre lo Stato, si ripropongono i grandi temi della sovranità moderna, senza ricostruire i tasselli del potere (o centro di comando situato al di là dello Stato-nazione ma pur sempre evocabile in ultima istanza) la moneta unica si converte in un momento di fragilità e vulnerabilità. Accanto a questo progetto di prospettiva, che richiede tempo lungo, si impongono delle scelte politiche contingenti per evitare la catastrofe della vecchia Europa. Una potenza che esercita l’egemonia regionale, come la Germania, è condannata a ragionare in termini politici, non le è consentito di convivere solo con il meschino calcolo dei piccoli tornaconti immediati. La cultura tedesca, e la sinistra tedesca, sono ancora troppo timide in questa partita da cui dipende la democrazia europea.
Eppure senza un mutamento visibile delle credenze, delle culture, degli orientamenti che coinvolga la Germania, il processo politico alternativo avviato già con il successo di Hollande potrebbe trovare degli ostacoli insuperabili.
Da “l’Unità” del 4 giugno 2012