Credo che il tema dell’educazione, cruciale in ogni società umana, costituisca oggi uno dei grandi temi “sensibili”. E’ bene tenere a mente che la nostra epoca è particolarissima perché è un’ epoca di transizione e come tutte le epoche di transizione è difficile da comprendere, persino di nominarla con un nome proprio, tanto è vero che tentiamo di definirla in opposizione all’epoca che l’ha preceduta: post moderna, tardo moderna, ecc. Tuttavia credo che la definizione coniata dal sociologo Bauman possa orientarci. Bauman definisce il nostro tempo come quello contrassegnato dalla presenza della società liquida. In effetti non possiamo non costatare un’evidente frantumazione di ogni solidità culturale, di ogni sembiante sociale, al punto che ci si interroga, forse per la prima volta seriamente, sul relativismo dei valori. Questa fragilità culturale non può non avere ripercussioni significative nei rapporti interpersonali: amorosi, lavorativi, amicali, educativi. Ognuno deve inventarsi da solo, o quasi, come stare al mondo, come potersi orientare dentro orizzonti esistenziali che possono mutare rapidamente, addirittura, nello stesso individuo. E’ evidente, allora, che le due agenzie educative centrali della nostra società, la famiglia e la scuola, si trovano a dover affrontare un problema inedito: come far sì che i nostri ragazzi, non avendo più valori univoci in grado di guidarli, possano davvero incontrare il prossimo, all’interno di una dialettica che permetta a di vedere valorizzate le proprie particolarità, le proprie singolarità senza perdere di vista quelle degli altri. Sappiamo bene che si tratta di un compito complicato, molto complicato, perché la conflittualità perniciosa è sempre in agguato. E’ sicuro che non se ne esce addossando agli altri le responsabilità delle criticità relazionali incontrate, che in fondo risulta essere un’altra modalità di declinare la conflittualità mettendosi nella posizione dell’ “anima bella”. Una comunità in cui ciascuno squalifica ed indebolisce la funzione degli altri diventa un luogo invivibile. A me pare, riferendomi del recente fatto di cronaca, che il punto non sia tanto discutere se sia più o meno giusto, rispetto agli effetti educativi attesi, che degli insegnati abbiano sospeso degli studenti (allo stesso modo ci si potrebbe chiedere perché non si sia sospesi in situazioni in cui sarebbe il caso di farlo) ma del perché si arrivi a questa decisione. Si tratta di interrogarsi su ciò che accade a monte e non su ciò che si vede a valle, perché altrimenti si finisce per curare i sintomi, destinati così a proliferare, e non la malattia. Purtroppo la malattia, per i motivi che ho esposto, è seria e, secondo me, dovrebbe spingerci ad una riflessione urgente su ciò che significhi oggi essere genitori ed insegnanti. Perché è evidente, almeno ai miei occhi, che si tratta di due funzioni che vanno ripensate profondamente all’interno della nostra società. Non mi pare, tuttavia, che al momento ci siano riflessioni sufficientemente articolate, al di là delle considerazioni dettate dall’urgenza del momento.