È stato davvero un incontro piacevole quello dedicato nel programma dei Martedì dell’Arte a: “Il tema iconografico della “femme fatale” all’epoca delle secessioni”, illustrato con elegante cultura dalla maceratese prof.ssa Paola Ballesi, critico d’arte, già direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Macerata, docente di storia dell’Arte nell’Accademia di Brera, attualmente componente di “Amici di palazzo Buonaccorsi” e “Macerata Cultura”.
Epoca delle “secessioni” che si riferisce a un fenomeno artistico che si manifestò alla fine del XIX secolo, nel quale ebbe risalto la figura della donna, bellezza tentatrice sessuale e pericolosa, che appassionò personaggi artistici di notevole rilevanza, come Baudelaire, che riferendosi alla “femme fatale” esaltò la donna come “la dolcezza che incanta e il piacere che uccide”.
Nel cercare di fare una onesta e difficile sintesi dell’intervento della prof.ssa Ballesi, accenniamo alle immagini di alcune donne come: la Tosca di Puccini, la Violetta della Traviata, la Carmen di Bizet, la Lulu di Broks, la scultura “L’idolo eterno” di Auguste Rodin e nella donna tipo che Leonardo esalta nella straordinaria Gioconda. Stupenda l’immagine “Le grandes Brigneuses” di Paul Cezanne, dipinto che si riferisce alla donna che vive e fa parte della natura, conservato nel Museum of Art di Filadelfia.
Giusto precisare che l’archetipo della “femme fatale” esiste da millenni nella mitologia e nel folklore di molte culture. Tra le figure più antiche si possono ricordare alcuni personaggi biblici come Daila, Salomè, Circe, Medea, Clitennestra e tra gli esempi storici divenuti mitologici si possono annoverare Cleopatra e Messalina.
L’ascolto di circa un’ora, che la rassegna I Martedì dell’Arte prevede negli incontri e che sembra non basti mai, si è concluso con il commovente racconto di Ernesta Cottino, civitanovese di adozione, sposata con Ambrogio Faccio, madre di quattro figli: Rina, Marta, Pietro e Iolanda, famiglia che diresse la famosa fabbrica di bottiglie nell’allora Porto Civitanova. Commoventi le lettere che Ernesta inviò dal manicomio, in cui fu rinchiusa, al marito, delle quali non ha avuto risposta. Visibile e forte la commozione che i presenti avevano negli occhi nell’uscire dal cineteatro Cecchetti.