Di Riccardo De Bonis
Parlare di ricchezza delle famiglie – di ricchezza finanziaria, reale e di debiti – è di moda. Ma, a ben guardare, gli economisti si sono sempre occupati della ricchezza. Il consumo delle famiglie dipende dal reddito disponibile, ma è influenzato anche dalla ricchezza. Le informazioni sugli strumenti finanziari – depositi, azioni, titoli, prodotti assicurativi – in cui le famiglie investono ci danno informazioni sulla loro propensione al rischio. La ricchezza fornisce segnali sulle caratteristiche dei sistemi finanziari, perché in ogni paese gli intermediari offrono alcuni strumenti piuttosto che altri, in virtù di regolamentazioni, potere di mercato e peso del fisco. Con la crisi dei sistemi pensionistici pubblici è diventato più importante che in passato lo studio degli strumenti che le famiglie accumulano per far fronte alla vecchiaia. Nella maggioranza dei paesi la ricchezza immobiliare delle famiglie è maggiore delle loro attività finanziarie, sollevando sempre interesse per l’evoluzione dei prezzi delle case.
Più di recente, la crisi economica e la caduta dei prezzi azionari e delle abitazioni in molti paesi hanno rafforzato la discussione sull’importanza dei valori di queste attività, non solo per la conduzione della politica monetaria, ma anche per gli effetti sulla stabilità finanziaria. Infine, una delle raccomandazioni del rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi sul “Measurement of economic performance and social progress” invita a considerare “income and consumption jointly with wealth”.
Concentrandoci sul livello aggregato della ricchezza delle famiglie – e tralasciando quindi la sua distribuzione tra i cittadini – la situazione italiana può essere sintetizzata in cinque punti.
(i) Ricchezza finanziaria lorda. Le famiglie italiane hanno una ricchezza finanziaria lorda rispetto al reddito disponibile più bassa rispetto a Stati Uniti, Regno Unito e Giappone ma più alta rispetto ai grandi paesi dell’area dell’euro (una classifica simile si otterrebbe ponendo la ricchezza in rapporto al PIL). Quali sono le cause di queste differenze? In primo luogo, la percentuale di abitanti che investono in azioni direttamente o attraverso fondi comuni, fondi pensione e compagnie assicurative è più alta nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nel Giappone. In secondo luogo, gli investimenti delle famiglie in pensioni private sono più rilevanti negli Stati Uniti e nel Regno Unito che nell’area dell’euro, dove le pensioni pubbliche – non incluse nelle attività finanziarie – restano più importanti. Un terzo elemento è che, come vedremo più avanti, in paesi come la Spagna e l’Italia, le famiglie hanno una ricchezza reale elevata. Gli investimenti in abitazioni potrebbero aver contribuito a “spiazzare” gli investimenti in attività finanziarie.
(ii) Debiti. Fino a prima dell’esplosione della crisi, nel 2008, i debiti delle famiglie sono cresciuti in tutti i paesi. Il livello di debito più elevato si registra nel Regno Unito, con un valore che supera il 150 per cento del reddito disponibile; seguono, con valori intorno al 125 per cento, Stati Uniti e Spagna, con quest’ultimo paese che ha registrato negli ultimi 15 anni la crescita più spettacolare. In Italia i debiti finanziari delle famiglie sono pari a circa il 60 per cento del reddito disponibile, un valore molto basso. La propensione delle famiglie a indebitarsi è influenzata da elementi diversi, che mutano nei vari contesti nazionali: il rapporto tra il valore del prestito offerto dalla banca e il valore della casa offerta in garanzia; la soglia di deducibilità fiscale degli interessi sui mutui contratti per l’acquisto delle abitazioni; l’efficienza del mercato degli affitti, che influenza la scelta degli individui di vivere in una casa di proprietà; la diffusione di un meccanismo, assente in Italia ma diffuso nei paesi anglosassoni, secondo il quale le banche offrono un’automatica estensione del mutuo se è cresciuto il valore dell’immobile offerto in garanzia dalle famiglie. Infine, il reddito pro-capite e il tasso di risparmio potrebbero influenzare – in senso opposto – l’indebitamento delle famiglie.
(iii) Ricchezza finaziaria netta. La ricchezza netta delle famiglie è la differenza tra la ricchezza finanziaria lorda e i debiti. Le famiglie italiane, in virtù del loro basso debito, hanno una ricchezza finanziaria netta sempre più bassa che in Giappone, ma in linea con i valori che si osservano nel Regno Unito e negli Stati Uniti, e naturalmente sempre più alta rispetto a Germania, Francia e Spagna.
(iv) Ricchezza reale. Nonostante la finanziarizzazione delle economie degli ultimi venti anni, le attività reali sono il pezzo prevalente della ricchezza delle famiglie nella gran parte dei paesi, con due eccezioni importanti rappresentate da Stati Uniti e Giappone. Anche se i confronti tra paesi vanno presi con cautela, perché la misurazione del valore delle abitazioni non è armonizzata, la ricchezza reale è pari a oltre 8 volte il reddito disponibile in Spagna, a causa di boom immobiliare durato fino al 2007. La ricchezza reale è circa 5 volte il reddito in Italia, Francia e Regno Unito. Valori più bassi si osservano in Germania, Giappone e Stati Uniti.
Il valore elevato della ricchezza reale degli italiani ha varie spiegazioni. Le case sono state tradizionalmente considerate un investimento sicuro, a causa dell’arretratezza dei mercati finanziari nel passato e dell’inflazione elevata degli anni Settanta e Ottanta. Nel nostro Paese, inoltre, non si sono mai verificate le riduzioni drammatiche dei prezzi degli immobili che spesso hanno contraddistinto il Regno Unito o gli Stati Uniti. Le imperfezioni del mercato degli affitti e la centralità della famiglia hanno sempre stimolato la domanda di case di proprietà. Il possesso crescente delle abitazioni può anche essere interpretato come una scelta precauzionale da parte di una popolazione che invecchia; in quest’ambito un ruolo importante hanno i trasferimenti intergenerazionali delle case. Venendo a fattori più recenti, le difficoltà della Borsa tra il 2000 e il 2002, i fallimenti di due gruppi industriali che avevano emesso obbligazioni e il caso dell’Argentina hanno accresciuto la domanda di abitazioni e contribuito al rialzo dei prezzi fino al 2007.
(v) Ricchezza totale netta. Sommando la ricchezza finanziaria netta e la ricchezza reale delle famiglie si ottiene un indicatore della ricchezza totale netta. I valori più elevati si riscontrano in Spagna, con un livello pari a circa 9 volte il reddito disponibile, determinato dall’elevatezza della ricchezza reale. In Italia, Francia e Regno Unito si hanno valori superiori a 7 volte il reddito. Il Giappone ha un valore inferiore a 7 volte il reddito disponibile. Ricchezze totali intorno a 5 volte il reddito disponibile si ritrovano in Germania e Stati Uniti: la prima è penalizzata da consistenze relativamente contenute delle attività finanziarie, mentre nei secondi le attività reali delle famiglie sono basse e il loro debito è elevato.
Prescindendo da considerazioni distributive, gli indicatori sulla ricchezza ci dicono dunque che le famiglie italiane possiedono un “cuscinetto” elevato nel confronto internazionale, cui attingere in occasione di eventi imprevisti e per far fronte alla vecchiaia. Ma questi indicatori riflettono la storia passata. Nulla ci assicura che la situazione corrente perdurerà in futuro. Se le famiglie consumano la ricchezza accumulata aumentano il loro benessere odierno, ma a spese delle generazioni future. È noioso ripeterlo, ma l’Italia deve tornare a far crescere il suo reddito.
1. Banca d’Italia. Questa nota sintetizza l’articolo pubblicato nel numero 3, dicembre 2010, di Consumatori, Diritti e Mercato. Le opinioni presentate sono personali e non impegnano la responsabilità della Banca d’Italia.