MARTEDÍ DELL’ARTE E IL RICORDO DELL’ARCHITETTO ALDO ROSSI

Il programma di quest’anno dei Martedì dell’Arte, giunto alla 18ª edizione, ha previsto un altro riuscitissimo incontro, che, per quanto riguarda quello di ieri, ha avuto luogo nella sede del cineteatro Cecchetti, che poneva come tema: “Fin de siècle 2.0. Città dipinte: Aldo Rossi e il postmoderno”, e che ha consentito, riteniamo alla oltre partecipazione del consueto centinaio di spettatori, di conoscere e vedere le immagini di palazzi e città antiche diventati moderni.
Sottolineatura particolare della riuscitissima lectio tenuta dal prof. Roberto  Cresti, dell’architetto e teorico di architettura Aldo Rossi (Milano 3-5-1931- 4-9-97), (nella foto) autore anche di una  importante pubblicazione: “L’architettura della città”, “divenuto in breve tempo,  – come ha sottolineato il relatore –  uno dei libri più studiati e discussi a livello internazionale”. Rossi si è laureato nel 1949 ed è stato poi voluto come assistente da famosi architetti.
Tracce importanti della sua vita come la nomina di titolare alla cattedra di “Caratteri distributivi degli edifici” al Politecnico di Milano e che vince il concorso per la sistemazione della piazza municipale di Segrate (1965-1967), per cui disegna il “Monumento alla resistenza”, e inizia a lavorare alla serie dei “Quaderni azzurri”: una raccolta di appunti, memorie di viaggio e pensieri privati, compilata con costanza fino agli anni Novanta. In pratica il significato profondo che “ogni città – come riteneva Rossi – è un luogo di memorie”.
Immagini sullo schermo delle città antiche che diventano moderne, la testimonianza di palazzi che in pratica sono stati realizzati, possiamo dire, in tutto il mondo.  Luoghi e immagini impossibili da riportare, come del resto l’architetto Rossi descrive, come ampiamente riferito  e proiettato sullo schermo dal prof. Cresti.
Conclusione con quanto riportato dalla Rivista Domus  e che costituisce una riflessione dell’architetto Aldo Rossi, al quale è stata espresso dai convenuti, seppure nel silenzio profondo, una sentita gratitudine e simpatia.
“Ho sempre visto l’architettura tra queste due grandi componenti o questi due confini: da una parte il suo modo di realizzarsi (nella rappresentazione e nella costruzione), che corrisponde grosso modo a quello che chiamiamo tecnica, e dall’altra il suo riferirsi alla città, come riferimento e fondamento dell’architettura. Per questo considero i disegni d’architettura in modo molto serio, anche e specialmente quando cercano di avvicinarsi o di spiegare meglio il significato di un’opera. […] Il fatto di trasformare, deformare, collocare il progetto in luoghi e situazioni diverse, appartiene piuttosto a una volontà sperimentale, una specie di verifica dell’opera da differenti esempi e immaginabili punti di vista, che a una astrazione».

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