Adesso che il rito del dolore si è consumato, che l’addio a Vakaba Traore si è compiuto, ora che tutte le lacrime sono state versate, è arrivato il tempo della chiarezza. La meritano la famiglia del giovane e la città. L’ospedale di Civitanova, attraverso il direttore sanitario Nadia Mosca, due giorni fa ha annunciato di aver aperto un’inchiesta interna su quanto è accaduto al pronto soccorso nei giorni precedenti il ricovero ad Ancona di Traore. L’indagine avviata dall’ospedale pubblico cittadino non è soltanto un atto dovuto rispetto all’intenzione, manifestata dalla famiglia Traore, di capire cosa è accaduto. E’ una risposta al bisogno di verità che la città intera esprime. Perché sulla gestione dei primi giorni della malattia del giovane Traore troppi sono i dubbi. Prima che la famiglia faccia un passo ufficiale, la struttura ospedaliera è chiamata a dimostrare di avere la forza di andare fino in fondo e ricostruire eventi e responsabilità. L’ospedale, il pronto soccorso, il personale che vi lavora ogni giorno sono un capitale prezioso perché ad essi affidiamo la nostra vita e quella delle persone che amiamo. Per questo non ci può essere spazio per le mezze verità, per il detto e non detto. Chiudere questa vicenda senza una parola chiara sarebbe uno ‘schiaffo’ al giovane Vakaba e un capitolo che la sanità non può permettersi. Alla città il compito di attendere l’esito dell’indagine interna senza tesi preconcette e facile qualunquismo; ai vertici ospedalieri quello di muoversi con decisione e velocità e, se emergeranno responsabilità, di rimuoverne le cause.
I sintomi, della meningite che l’ha ucciso, il 19enne centrocampista della Civitanovese ha cominciato ad accusarli a metà novembre, dopo la trasferta di Agnone. Prima di essere trasportato a Torrette, dove è entrato in coma e non si è più svegliato, era stato accompagnato due volte al pronto soccorso di Civitanova, la seconda ad un paio di giorni di distanza dalla prima perché il malessere (febbre, vomito e svenimenti) si era aggravato. Visitato, in entrambi i casi è stato rimandato a casa. Influenza, gli hanno detto. Da lì il calvario, passato attraverso qualche giorno di ricovero nella clinica Villa Pini (che pure dovrebbe dire qualcosa) e, davanti all’aggravarsi del quadro clinico, il trasferimento ad Ancona deciso dalla dirigenza della Civitanovese quando si è resa conto che la situazione stava precipitando. Poi, quindici giorni di coma e il decesso, martedì scorso. Ieri mattina il giocatore ha lasciato la città dentro un feretro, diretto a Fiumicino. Qui la salma di Traore sarà imbarcata sul primo aereo che lo riporterà in Costa d’Avorio, il paese il cui era nato e dove verrà seppellito. E’ stata impressionante la manifestazione di affetto nella camera ardente allestita sotto le logge del Municipio e che ha contenuto il dolore di centinaia di persone che hanno dimostrato il volto di una Civitanova stretta attorno alla famiglia Traore e alla comunità ivoriana nei giorni in cui, a Firenze, l’ideologia razzista ha seminato morte. Anche questo è un elemento di riflessione che ci lascia la morte di Traore, per continuare a seminare il terreno della solidarietà e del confronto.