VIOLENZA GIOVANILE: C’È UNA COMPLESSITÀ DA CAPIRE, ALTRIMENTI SOLO PAROLE E NESSUN RISULTATO

Milano, 12/02/01: baby gang. Foto Day Studio Agency ©

Il dibattito sulla violenza giovanile torna al centro dell’attenzione dopo le dichiarazioni in Consiglio comunale dell’assessore alle Politiche giovanili Francesco Caldaroni (Fratelli d’Italia), che ha definito le baby gang «un fenomeno di delinquenza giovanile, non di disagio sociale», affermando che «si tratta di italiani di seconda generazione che sembrano nutrire odio verso i nostri ragazzi». L’assessore ha inoltre ribadito: «Sono criminali. Possiamo anche stanziare finanziamenti, ma fino a quando non ci sarà una educazione impartita dalle famiglie non cambierà nulla. Perciò basta con queste cavolate, la realtà è questa qua».

Ma quanto affermato trova riscontro nei dati e nelle analisi nazionali?

Secondo l’ultimo report della Criminalpol, nel 2024 gli omicidi commessi da minori sono quasi triplicati, e sono in aumento anche le rapine (+7,6%), le lesioni dolose e le violenze sessuali (+8%), in particolare nelle grandi aree urbane. Tuttavia, il sociologo Marco Dugato (Transcrime) chiarisce che molte rapine non hanno movente economico, ma rappresentano atti di prevaricazione tra coetanei, spesso senza piena consapevolezza. I protagonisti, sottolinea, non sono solo giovani emarginati, ma anche ragazzi italiani, di buona famiglia, per i quali la violenza diventa una forma di espressione o affermazione.

A confermare questa tesi è anche il Tavolo sul disagio giovanile attivo nel maceratese, che segnala numeri preoccupanti: oltre 100 accessi in pronto soccorso nel 2024 tra i 12 e i 16 anni per autolesionismo, panico, aggressività e disturbi alimentari. Anche qui, i soggetti non sono per forza giovani stranieri o marginali, ma ragazzi italiani, spesso ben integrati, che però vivono un disagio silenzioso.

La pedagogista Monica Lecchini (Anpe) invita a non semplificare il fenomeno, ricordando che la violenza minorile è anche riflesso di un contesto educativo e relazionale carente, sia in famiglia che nella scuola, e che intervenire alle medie è già tardi. Il problema va affrontato alla radice, con un’azione educativa strutturata e continua.

In sintesi, se è vero che vi sono episodi gravi di criminalità minorile, i dati e gli esperti invitano a non ridurre tutto a un problema di “criminali da reprimere” o a scaricare ogni responsabilità solo sulle famiglie. Dietro la violenza giovanile c’è un mix di disagio, vuoto educativo, mancanza di modelli e incapacità adulta di offrire alternative reali.

Serve, quindi, una visione più ampia, che non si fermi alla condanna, ma che riconosca la complessità del fenomeno. Perché senza comprendere le cause, ogni intervento rischia di essere solo una reazione tardiva.

Una risposta

  1. Amedeo Regini ha detto:

    Certo è complesso e complicato capire questi fenomeni.Vista la situazione che non è di oggi le istituzioni vedi Migranti ecc non lo fanno.

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